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FUNIMA International

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ITALIA. La volontaria Aina Vania Vudulich psicologa e fotografa a Palermo

24 Set 2018

CENTRO PARCO DEL SOLE, Palermo. Mi chiamo Vania ed è da circa un anno che collaboro con FUNIMA International.

In questo momento sto vivendo a Londra, ma non so se questa sarà la mia destinazione definitiva. Sono nata a Savona e lì sono rimasta fino ai 19 anni. Ho frequentato l’Istituto Tecnico Industriale e mi sono diplomata Perito Meccanico, per poi decidere che l’unica strada che avrebbe fatto per me era quella della psicologia. In fondo me lo dicevo sin da quando ero piccolina: io da grande farò la psicologa dei bambini.
All’epoca le uniche facoltà di Psicologia si trovavano a Padova, a Roma e a Palermo. Scelsi Padova perché là c’erano già dei miei amici, ma ci volle comunque molto coraggio da parte mia perché a quell’età ero molto paurosa ed insicura. Fortunatamente tra alti e bassi andò tutto per il meglio e scoprii anche di avere una forte passione per la fotografia. Negli anni 90′ non si lavorava in digitale, quindi, con l’aiuto di fotografi professionisti con i quali lavoravo, imparai a sviluppare le rullini e le foto in camera oscura e compresi che il mio stile preferito è il ritratto bianco e nero e la fotografia cosiddetta ‘sociale’.
Dopo la laurea ritornai a Genova e ci rimasi per quattordici anni. Lì ho lavorato a contatto con situazioni molto disagiate, sviluppando progetti di intervento psicologico indirizzato ai bambini e alle famiglie, ma anche anche alle persone anziane che erano ricoverate nella casa di cura in cui ho prestato servizio.
Forte della specializzazione in psicoterapia presa nel frattempo a Roma, mi interessai alla “psicoanalisi applicata al sociale”, ovvero alle modalità di cura nelle situazioni in cui non può esserci un rapporto formale tra psicologo e paziente, tipo nelle scuole, nei centri socio-educativi e nelle case di cura. Ero e sono fortemente convinta che l’arte sia molto importante nella cura, infatti, ho spesso utilizzato questa modalità espressiva negli ospedali e comunità. Fu per questo motivo che iniziai la collaborazione conil fotografo-insegnante Alberto Terrile in cui portammo avanti un progetto di arte terapia nei confronti di anziani affetti da demenza.
Nonostante ‘l’impegno e la passione per quello che facevo, il percorso genovese si interruppe a causa di una delusione lavorativa ed affettiva (quando mi capitano di solito mi arrivano tutte insieme). Decisi quindi di mollare tutto, dando finalmente spago a quel desiderio che mi accompagnava da anni: andare all’estero e collaborare con le associazioni che si occupano di bambini nelle aree più povere del mondo. Per circa sei mesi viaggiai, andai in Zambia e collaborai con l’associazione ‘L’Africa chiama’ dove oltre a fornire sostegno ai bambini con disabilità all’interno della Shalom School a Lusaska, utilizzai la fotografia come strumento di cura, di documentazione e fund raising.
Poi partii nuovamente per la Cambogia con l’associazione ‘A Smile for Cambodia’, con la quale collaboro tutt’aora. In quell’occasione gestii insieme ad un insegnante una piccola scuola in mezzo alle risaie di Kep, villaggio nel sud della Cambogia. Anche in questa occasione sperimentai il laboratorio fotografico come modalità espressiva e di cura, ma anche come un aiuto dato all’associazione per recuperare fondi.
L’unica nota dolente era che il mio inglese era ad un livello elementare e quindi se volevo continuare su questa strada sarebbe stato necessario perfezionarlo, dunque arrivai in UK e con molta fatica e sacrificio da circa sei mesi ho iniziato a lavorare pure qui come psicologa.
In questi ultimi anni ho continuato a supportare i bambini di ‘A Smile for Cambodia’, ma ero anche alla ricerca di una seconda associazione con cui collaborare. Venni dunque a conoscenza di FUNIMA International tramite le conferenze di Giorgio Bongiovanni e di Piergiorgio Caria ed immediatamente sentii che questa poteva essere la situazione giusta.
Mi misi in contatto con Giovanni e Sonia, con i quali ci fu da subito un’ottima intesa. Mi invitarono nella sede di FUNIMA a Sant’Elpidio al Mare e decidemmo che la destinazione migliore sarebbe stata Palermo.
Ero molto emozionata all’idea di partire per la Sicilia perché avrei collaborato con un sacerdote che si occupa attivamente di togliere i ragazzini dalle mani della mafia, vale a dire toglierli dalla strada e offrire loro un luogo dove tutti i giorni possano trovare qualcosa di molto più prezioso dei soldi facili mafiosi. Io dei bambini di strada me ne sono occupata in Cambogia che i turisti-mostro occidentali scelgono come meta per il turismo sessuale . Non avrei mai pensato che avrei lavorato pure in Italia. Diciamo che a Palermo, nel quartiere Ballarò, non hanno i medesimi problemi, ma si tratta comunque di togliere bambini dalle grinfie di persone che si approfittano di loro.
Prima di partire ero molto nervosa perché nonostante i viaggi che avevo già fatto, non sapevo da dove iniziare e come avrei potuto contribuire. Contattai quindi Adriana che si rese subito disponibile e mi spiegò come funzionava il centro ‘Parco del Sole’. Ero anche contenta perché trovò interessante la mia proposta del laboratorio fotografico. Adriana mi spiegò che il centro è praticamente un dopo-scuola dove si aiutano i bambini a fare i compiti e si sostengono le famiglie in difficoltà, dando di conseguenza anche un contributo positivo al quartiere Ballarò.
Quando arrivai a Palermo rimasi affascinata innanzitutto dalla città, bellissima, artistica e con una storia che si poteva respirare e sentire sulla pelle. Per non parlare della cucina poi..
Al ‘Centro Parco Sole’ sarei rimasta solo una settimana, ma ero comunque speranzosa di mettere le basi per una collaborazione duratura nel tempo. Il centro si trova all’interno di una vecchia chiesa sconsacrata, composta da un grande salone con dei tavoli per fare i compiti e un stanza più piccola dove ci sono i calcetti.
Le attività sono praticamente scandite in due tempi: i compiti e il gioco, dal lunedì al venerdì. Nonostante scrivere, leggere e contare si facciano a volte controvoglia. i ragazzini capiscono l’importanza di poter avere un supporto concreto. Anche io aiutavo a fare i compiti, apprezzando le capacità organizzative di chi gestiva quel momento.
La seconda parte del pomeriggio era invece un’esplosione di vitalità: corse, giochi, calcetto, calcio, corda, salti, capriole, risate e a volte qualche capitombolo. Pure Oscar e gli altri educatori davano il meglio di sé in questi. Mi resi dunque conto di quanto fosse sbagliata la mia idea iniziale di voler incanalare questa energia in un’attività prestabilita, così cercai semplicemente di cogliere la vitalità che sprizzava dai ragazzini e dall’interazione con gli educatori. Ahimè la stanza era molto buia e quindi dovetti fare salti mortali per ottenere degli scatti appena decenti.
Rimasi colpita nel vedere quanto fosse importante quel luogo per i bambini, e con quanto amore gli adulti portano avanti questa missione. I bambini lo sentono quando si lavora con passione e pure io questo l’ho sentito tantissimo. Spero di ritornarci al più presto.