Mi chiamo Adriana Gnani, sono nata a Ferrara in una famiglia di contadini…
Raccontaci un po’ di te … chi sei e da dove vieni?
Mi chiamo Adriana Gnani, sono nata a Ferrara in una famiglia di contadini, che per
motivi di lavoro si è trasferita in Piemonte dove ho trascorso la mia infanzia.
A vent’anni sono giunta in Sicilia, inizialmente a Messina, qui ho formato la mia
famiglia ed ho avuto due figli; successivamente mi sono trasferita a Palermo per motivi personali.
Perché hai scelto di fare la volontaria in Sicilia?
Non è stata una scelta, ma un percorso che è iniziato con il mio trasferimento a Palermo per collaborare con la redazione Antimafia Duemila e successivamente con l’associazione Scorta Civica, nata per sostenere il Giudice Di Matteo e formata da liberi cittadini che lottano per la giustizia. Insieme a Scorta Civica ho manifestato contro i soprusi e le ingiustizie, tenendo alti i riflettori sul processo “Trattativa Stato-Mafia”. Da qui, il passo è stato breve nell’affrontare tematiche differenti come quelle della povertà nei quartieri difficili della città: mi ha colpito particolarmente il quartiere della zona Ballarò, dove nasce il centro Parco del Sole. Dall’ incontro con il suo fondatore, Padre Cosimo Scordato, ho sentito quasi una richiesta di aiuto, dalla quale è nata la collaborazione.
Perché con FUNIMA International e come l’hai conosciuta?
Conosco e appoggio i fondatori fin dall’inizio e nel mio piccolo, come volontaria, ho cercato sempre di apportare il mio contributo ai loro progetti; così ho introdotto a FUNIMA International l’operato del centro di Padre Cosimo Scordato (figura già nota all’associazione) e questa ne ha sposato il progetto.
Di cosa ti occupi nel centro Parco del Sole e quali sono le attività principali che vi si svolgono?
Tra le innumerevoli cose, ne dirò una sola che le racchiude tutte: faccio la mamma a cinquanta bambini, dando loro tantissimo affetto e amore, cerco di capire le difficoltà di ogni singolo bambino. A ciò si aggiungono attività del dopo scuola, accoglienza e molto gioco. I bambini tendono a comandare, dunque il gioco li aiuta a condividere e ad aiutarsi l’uno con l’altro; così imparano che i più bravi nelle attività devono aiutare i più deboli e i bisognosi … quando si riesce a far capire questo concetto, i risultati sono stupendi. In tale contesto cerco di fare anche un percorso educativo alla legalità, perché in ambienti del genere serve anche questo. La principale attività è proprio quella di educare i bambini: quando ce li troviamo davanti sono tanti puledrini imbizzarriti, hanno bisogno di una guida, quindi cerchiamo di essere un punto di riferimento per la loro crescita interiore, proviamo a fargli capire che hanno delle persone accanto che li sanno ascoltare; più che imparare a leggere e a scrivere hanno bisogno di essere ascoltati.
Ci racconti il contesto in cui è inserito il centro, la realtà del quartiere e le problematiche dei bambini?
Il centro si trova nel popolare e storico quartiere dell’Albergheria, vicino al famoso mercato di Ballarò, dove tra i molti monumenti vige la cultura della tradizione: tra i vicoli vi sono ancora i carrettieri che vendono, ad esempio, patate bollite e panini tipici; oltre a ciò, il quartiere è anche culla di abbandono, illegalità, dispersione scolastica e soprusi. Ogni giorno questi bambini vivono tristi scenari, nei vicoletti vedono persone che si azzuffano o assistono a sparatorie e violenze, venendo talvolta feriti.
Vivendo questi scenari, cercano quasi sempre di copiarli, di sopraffare gli altri, perché imparano che l’unica arma per emergere e per farsi valere è quella del comando e della violenza. Questi bambini vivono nella povertà non solamente economica, ma anche sociale, culturale e soprattutto affettiva. La loro casa è la strada, nei vicoli si vede tanta tristezza. Come a volte vediamo nei documentari sull’Africa, anche qui, bambine piccole tengono in braccio il fratellino o la sorellina più piccola, molto spesso non sono fratelli di sangue perché i padri possono avere contemporaneamente tre o quattro compagne; si ritrovano ad avere molti fratelli, ma per loro è quasi la normalità. I più grandi devono accudire i piccoli, escono a fare la spesa e li vedi che vanno avanti e indietro in questi quartieri, vestiti come meglio possono. Sono entrata all’interno di queste “famiglie”, ma nelle loro case non è vissuta la cultura della famiglia bensì quella del branco; questi bambini un panino da mangiare ce l’hanno, così come i vestiti, però solo in pochi conoscono il calore familiare.
Fortunati quelli che hanno i genitori, di solito vengono accuditi dai nonni, dagli zii o da chi ne prende l’affidamento. Non tutti, grazie a Dio, ma molti dei genitori non possono stare materialmente e fisicamente a contatto con i propri figli e si trovano in strutture di detenzione.
Ci racconti una storia che ti ha segnato profondamente?
Di tante storie ve ne racconto due; una che nella sua semplicità mi ha fatto sorridere con il cuore e dato tanta tenerezza, mista però ad un senso di tristezza.
Volevo conoscere un po’ meglio i bambini del centro, sapere cosa facessero le loro famiglie: alla domanda “cosa vorresti fare da grande?” una bambina risponde: “voglio vendere le scarpe!”… dunque, ingenuamente, le chiedo se in famiglia possiedono un negozio di scarpe, ma la bambina mi dice che il padre le reperisce in giro per la città come e dove capita, per poi venderle in un mercatino d’usato aiutato dalla piccola. Ho chiesto alla bambina se tale attività le piacesse e lei mi ha risposto contenta di sì, perché con quanto guadagnato, il padre le compra ciò che desidera.
L’altra storia riguarda una bimba solare, molto loquace ed intelligente, purtroppo messa a dura prova dalla dolorosa realtà familiare che, insieme alla sorellina più piccola, l’ha vista testimone dell’arresto del padre. A seguito di tale shock, il suo carattere è mutato: lunghi silenzi intervallati da pianti, isolamento e rabbia. Un giorno però l’ho spronata a confidarsi e, con il passare del tempo, il suo animo ha ritrovato il sorriso: insieme a me scriveva le letterine per il papà che andava a trovare in carcere settimanalmente; successivamente la bambina è stata affidata ai nonni. Rivederla dopo un anno di assenza al centro, è stato per me un piccolo miracolo: è voluta ritornare al Parco del Sole, posto che le mancava molto, dove si sente serena e ben voluta; ora sta meglio, ha ritrovato i suoi vecchi amici e non se ne vuole più andare. I bambini che ritornano sono fonte di gioia, queste cose riempiono il cuore e spronano ad andare avanti tenacemente.
I genitori sono d’aiuto?
Il nostro progetto è dedito anche alle famiglie; purtroppo molti genitori sono assenti per questioni lavorative o per detenzione, ma cerchiamo di far collaborare quelli presenti. Li invitiamo a partecipare alle attività e a lavorare a stretto contatto con i propri figli, facendo vivere loro l’entusiasmo di fare anche le cose più piccole come un disegno, una torta, preparare festoni, partecipare a corsi di danza ed organizzare feste e spettacoli. I genitori premiano i propri figli per l’impegno e tali feste in famiglia sono occasioni per unirli tra loro. I risultati sono tangibili, in quanto i genitori si fidano di noi, del centro e vedono la contentezza dei figli; udire frasi come “mamma vieni, guarda cosa ho fatto” è una gioia indescrivibile. Questi bambini ti cercano anche solo per poter pronunciare la parola “mamma”; una bambina mi ha detto: “Adriana, lo so che non sei mia madre, ma posso chiamarti mamma?”… riuscire a vedere madre e figlia che disegnano, ballano insieme oppure si rimproverano a vicenda, è stupendo.
Come è recepito il vostro lavoro dal quartiere?
Dopo un’iniziale fase di diffidenza, come se la nostra presenza desse fastidio, il nostro impegno e la nostra costanza sono stati finalmente premiati: ogni anno le iscrizioni aumentano a dismisura tanto che, a malincuore, a volte non siamo in grado di sopperire alla forte domanda; gli spazi a disposizione sono purtroppo limitati e dobbiamo inoltre seguire adeguatamente, senza dispersioni, tutti i bambini presenti nel centro.
Quali sono le attuali necessità del centro? Di cosa ci sarebbe bisogno?
C’è una gran parte di umanità che andrebbe sensibilizzata ad aprire il cuore e ad aiutarci, io sono una volontaria che economicamente non ha nulla: ho quindi messo a disposizione la mia persona.
Con l’arrivo dell’inverno i bambini hanno freddo, tutti i giorni porto da casa la mia stufetta per scaldarli.
Avremmo bisogno poi di una grande lavagna: ne abbiamo una piccola ed ho notato quanto i bambini siano più indotti e si divertano a svolgerci compiti e quesiti, rispetto ai quaderni. Inoltre, avremmo necessità di materiale didattico e sedie pieghevoli, quelle che abbiamo sono troppo ingombranti. Il centro, nei limiti del possibile, cerca di aiutare anche economicamente le famiglie in difficoltà: si dividono i costi di visite specialistiche, controlli dentistici e cardiologici, così come quelli degli occhiali da vista.
Il mio grande sogno è quello di avere un pulmino; sembra assurdo, ma molti di questi bambini non hanno mai visto il mare. Due anni fa un ente ha messo a disposizione, per un mese nei fine settimana, un autobus: sono rimasta incantata nel guardarli toccare l’acqua per la prima volta, vederli ammirare il mare come fosse un miracolo dinnanzi ai loro occhi. Con questo pulmino sarebbe possibile portarli in giro per Palermo, avremmo la possibilità di far conoscere loro teatri e musei, portandoli ben oltre il limitato e ristretto mondo dei vicoli in cui vivono ogni giorno.
Vogliamo fargli vivere momenti di gioia e serenità, sentimenti e sensazioni che purtroppo molti di loro possono conoscere solo all’interno del centro. Nutriamo la speranza che un giorno possano trasmettere tali valori, speranze e sogni ad amici, parenti e ai propri figli, certi che ci sarà sempre qualcuno pronto ad aiutarli nelle difficoltà. In una società dove cellulari, tv e videogiochi “fanno da padroni”, io cerco di far vivere a questi bambini una realtà differente, dunque racconto loro le fiabe che molti non hanno la fortuna di conoscere, come Pinocchio, La Bella e la Bestia e tante altre. Non avendo avuto mai qualcuno che gliele abbia raccontate, vedo nei loro volti meraviglia ed incanto: animo le storie e li faccio diventare protagonisti di un mondo che meritano.